Month: June 2019

Lettera di un soldato straniero in terra natia

Cara Carol,
come per fare ordine, oggi faccio una cosa meschina ma disgraziatamente non originale fra i miei coetanei: stipulo una lista delle donne con cui sono stato finora. Catalogando relazioni come se fossero oggetti da archiviare, ripercorro stupide passioni adolescenziali, relazioni serie, disilluse, fisiche e sciocche fino ad arrivare all’ultimo punto della lista. E’ macchiato dalla sconfitta di essersi innamorati per la prima volta da anni. Io, incapace di farlo prima per fato e poi per scelta, ammetto a questo punto la sconfitta: è la sconfitta di una guerra che genererà un periodo di crisi, il quale genererà a sua volta una dittatura, come la storia (condannata a ripetersi) ci insegna che debba avvenire.

Il tipo di dittatura è molto chiara: si tratta della dittatura del cambiamento.
Siamo creature destinate a cercare il cambiamento per tutta la vita, senza avere la forza di attuarlo o senza avere il coraggio di accettarne le conseguenze. Tuttavia, Carol cara, capita che sia il cambiamento stesso ad imporsi su di noi; in questo modo noi ci sentiamo semplicemente costretti a sottostarne. La posta in gioco è la stessa di quando eravamo noi a ricercare qualcosa di diverso: tuttavia solo ora riusciamo, sotto costrizione, ad accettarla.

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Come un veterano, anche io ho i miei flashback della guerra che ho appena perso.
Un cavo di una prolunga disseminato come un serpente sul pavimento della mia camera mi ricorda le soluzioni amatoriali che lei aveva attuato per arredare la sua stanza: un vano troppo grande in un appartamento improponibile agli standard costruttivi moderni. Ma erano così belli quei corridoi lunghi, bagno unico, camere e mura sproporzionate: tutto ciò appare alla mia mente con una carica di nostalgia che sembra quasi insensata.

Un movimento di un labbro che compio involontariamente mi ricorda l’espressività del suo viso in ogni occasione. Il ricordo delle sue espressioni genera a sua volta il ricordo delle sue parole di risa, di profondità, di immaturità talvolta.
Un corso d’acqua mi ricorda la giornata che usò contro di me.
Un sogno mi ricorda gli occhi e labbra dischiuse nella penombra durante gli spasmi di un orgasmo che regolava lei da sopra.

Perché ti scrivo questo, Carol?
Questo linguaggio ampolloso che utilizzo per scrivere quelle che dovrebbe essere lettere mi disgusta già alla seconda lettura. Perché insistere? E perché parlarti di altre donne,di queste immagini impudiche ed irrispettose, come se ti interessasse?
In quella lista meschina, tu, Carol, non ci sei. Dove avrei dovuto collocarti, in fondo? Nella sezione delle amanti, costretta fra due tratti di punteggiatura tracciati per ricordare a me stesso che fra cosce e lenzuola tutte uguali c’era spazio anche per innamorarsi? E soprattutto, visto che la lista era ordinata cronologicamente, a che punto avrei dovuto inserirti? Ci sei stata per tutto il tempo e non te ne sei mai andata del tutto. Tuttavia, quel momento è arrivato.

Ti ho sognata, sai? Non proprio: ho sognato una foto di te.
Eri sdraiata su un fianco su un piazzale davanti ad una chiesa. Tenevi con le mani una bimba, sdraiata sul fianco. I tuoi capelli erano sparsi sull’asfalto come una macchia di inchiostro castano che si diramava dalla tua testa. Avevi un sorriso enorme e sembravi felice. Non ero il responsabile di quella felicità e questa mi creava disappunto.

Amica di penna di una vita,
desiderio mai reso carne,
cosa avevamo – cosa avevi tu – che ha fatto ritardare tanto il nostro addio?
Era forse la lontananza? La tua giovinezza? Quanto lontana appariva, in fondo, la mia adolescenza quando conversavo con te, che l’avevi ancora sul viso, sulla pelle delle tue gambe, sulla punta delle tue dita affusolate, sul ciglio delle tue labbra stupende. Era forse l’idea che avevamo di l’uno e dell’altro? Quell’idea che tu, saggia, volevi preservare ad ogni costo?
Ma ora è stata stabilita una dittatura sulla mia vita e io, codardo, non posso fare altro che sottomettermi ad essa.
Credi che non sappia, Carol, che la promessa che mi hai fatto per la prossima estate sfumerà come le altre da te fatte? Credi che non sappia interpretare i tuoi silenzi studiati, collocati nei momenti esatti in cui parlare avrebbe significato compromettersi? E gli impegni, le scuse?
Oh, Carol, io invece comprendo.
E se tante volte ho tentato – hai tentato – un addio che non è avvenuto, questa volta è diverso. Perché non è per mia volontà che ti dico addio, ma per la volontà di questa dittatura che mi ha travolto. Aleggiava nell’aria, certo, aveva già mietuto vittime ma come in ogni dittatura, le vittime si ignorano finché non è troppo tardi.

Questo è un saluto, Carol, mia cara.  Addio – mi attende la solitudine e infine la pace.

La mente è un sistema cognitivo la cui funzione è creare una rappresentazione del mondo a partire dalla quale produrre un piano d’azione.