08 Novembre 2015
I Verdena nel 1997
Ieri sera al Velvet, un locale della provincia di Rimini, c’era in programma una data dei Verdena, un gruppo a che riassumerei nel generico Alternative Rock. Ascolto questa band da anni, e non potevo mancare a quel concerto. Tant’è che mi sono fatto una decina di chilometri a piedi, pur di andarci. Non avevo proprio mezzi all’andata. Un’ora e mezza di camminata in una strada in mezzo ai greppi, buia, pericolosa, e con pochissimi lampioni. Ero pure raffreddato. Ma ne è valsa completamente la pena.
Partecipare a quel concerto è stato un’esperienza trascendentale. Uscire, un quasi triste ma necessario ritorno alla realtà. Il giorno dopo, è stato fonte di ispirazione e ricerca.
Questo gruppo suona da praticamente 20 anni. Informandomi, ho trovato straordinario come la formazione musicale di questa band consistesse esclusivamente nella sperimentazione e nell’osservazione. Un percorso praticamente autodidatta. Alberto Ferrari (chitarra e voce) ha iniziato a suonare la chitarra senza sapere cosa significasse accordare uno strumento. Tutt’ora dice di suonare la tastiera “ad orecchio”, senza realmente sapere come si suoni un piano. Roberta Sammarelli inizialmente suonava la chitarra, ed è passata al basso senza nemmeno sapere che si trattasse di uno strumento ritmico. Solo Luca Ferrari, batterista e fratello di Alberto, sembrava avere sin da subito il ritmo e la batteria nel sangue. E’ sempre stato portato, non ha mai dovuto studiare. Una band totalmente grezza, ignorante se vogliamo. Ma per questo motivo totalmente sincera. Ed è straordinario come, a parer mio, sia proprio grazie a questa “ignoranza” che siano riusciti a tirar fuori pezzi sempre originali, sempre più diversificati e sperimentali. Pezzi nuovi. Belli.
I Verdena sono questo. Ogni album è un passo avanti, un esperimento in più. Apprezzato come no. C’è chi dice che hanno perso quel che di grounge che li aveva resi famosi come “I Nirvana italiani”, c’è chi non apprezza tutti questi cambiamenti, che talvolta vergono sul Pop. Ma ben venga, chi ha voglia di decine di album identici a Nevermind. D’altro canto, poi, ci sono le critiche dai veri esperti del settore musicale. Gente che ha studiato per anni, che va a puntualizzare su quella tecnica che spesso è effettivamente discutibile. Ma le tecniche, le conoscenze, sono così determinanti nella creazione di qualcosa di artistico?
Pensiamo al Romanticismo, ad esempio. In Italia, nell’ottocento, i pittori e gli artisti tutti erano estremamente legati all’accademia, al classicismo. Alle regole e alla tecnica. Tutti dipingono seguendo precise regole tecniche di chiaroscuro, prospettiva e tridimensionalità. Ce l’hanno nel sangue, il classicismo. Alcuni tentano di evolversi, e talvolta ci riescono, ma rimangono sempre ancorati all’accademia. Alle regole, alla tecnica. Ciò, non gli permette di evolversi completamente come invece succede agli artisti di tutta l’Europa. Al di là delle Alpi, infatti, questa appartenenza al classicismo non la si sente. Ed è per questo che la pittura si rinnova, cambia, lancia la vera corrente romantica. Non c’è quel rispetto ossessivo delle tecniche pittore, gli artistica sperimentano. Grazie ad una lontananza dell’accademia, gli artisti rinnovano l’arte. Pur ispirandosi sempre ai grandi maestri italiani.
Da qui si capisce come le conoscenze e le tecniche, seppur importantissime al fine di raggiungere livelli elevati, non siano strettamente necessarie al fine della creazione di un’opera d’arte. Anzi, talvolta un attaccamento eccessivo ad esse potrebbe essere fatale, andando a minare ogni tentativo di innovazione e di avanguardia. Poniamoci allora un’altra domanda: per far sì che qualcosa sia bello, deve essere frutto di tecniche e abilità elevate? Il bello, dice Kant, non è legato al giudizio determinante, alla oggettività, e di conseguenza non lo si può mettere in relazione alle capacità tecniche, alle abilità, alle metodologie di carattere oggettivo, proprio perché ne è completamente separato. Non è possibile dire che una cosa sia bella solo perché tecnicamente perfetta: la tecnica è una scienza, il bello invece no.
E’ comunque sbagliato pensare che il concetto di bello sia completamente soggettivo. O meglio, è sì soggettivo, ma non soggetto all’arbitrio individuale. Questo perché allo stesso tempo però, è necessaria, sempre citando Kant, “una educazione al bello”, data dalla continua contemplazione di essa. Proprio per questo motivo, ossia che è necessaria un’educazione al bello, non mi azzardo minimamente a criticare esperti del settore, i virtuosi di conservatorio. Senza di loro la musica non raggiungerebbe mai i livelli a cui può arrivare. Il mio è semplicemente un pensiero da inesperto, da ignorante. A me, non mi importa che qualcosa sia perfetto, finché mi piace. Finché sa ispirarmi. L’arte va oltre alle regole, alla tecnica. L’arte è emozione. E qui cito gli Estetici e il grande Oscar Wilde: “Artist is the creator of beautiful things”. Se crediamo a questa affermazione, allora sì: i Verdena sono artisti in tutto e per tutto.